RN4CAST

  • Di quali e quanti infermieri abbiamo bisogno per garantire assistenza?
  • La quantità e la qualità degli organici hanno delle influenze sulla qualità dell’assistenza erogata ai pazienti?
  • Quali sono gli standard di organico infermieristico che garantiscono un’assistenza ottimale?
  • Quali sono gli effetti della quantità e qualità dell’organico infermieristico sulla salute dei pazienti?

Needleman, Jack, Peter Buerhaus, Soeren Mattke, Maureen Stewart and Katya Zelevinsky, “Nurse-Staffing Levels and the Quality of Care in Hospitals,” New England Journal of Medicine 2002; 346 (22): 1715-1722

Una delle prime ricerche giunte a noi è americana: Needleman ricercatore presso il Dipartimento dei servizi sanitari della Facoltà di Salute pubblica dell’Università della California a Los Angeles, nel 2002 pubblica sul New England Journal of Medicine, un articolo che affronta il tema in questione.

L’indagine si è svolta in uno dei migliori ospedali statunitensi, classificato come magnet-hospital, e con organici infermieristici tra più elevati del Paese. La mortalità in questo ospedale è la più bassa nella media degli ospedali degli Stati Uniti. Lo studio osservazionale, ha esaminato i dati dei ricoveri dal 2003 al 2006, in 43 unità operative di degenza ordinaria, area critica e semi intensiva (ad esclusione di ostetricia, pediatria, psichiatria e riabilitazione). Per ogni unità operativa, sono stati rilevati i dati di condizioni cliniche e di durata della degenza dei pazienti, oltre alla durata e alla composizione di turno. Il campione osservato è rappresentato da 197.961 ricoveri e 176.696 turni.  Gli indicatori a cui la ricerca fa riferimento sono il monte ore, fissato in un monte ore ottimale ed il turnover dei pazienti.

I risultati dello studio dopo tre anni di osservazione ci dicono che  in riferimento allo standard monte ore ottimale, ogni volta che si scende al di sotto di questo, aumenta il tasso di mortalità e la possibilità che il paziente incorra in un evento avverso come cadute, infezioni, mancato soccorso, lesioni da pressione. Stesso rischio all’aumento del turnover dei pazienti.

Quando aumentano i carichi di lavoro in maniera sproporzionata, diminuisce la sorveglianza sul paziente, motivo dell’aumento degli eventi avversi. Ad aumento dei carichi di lavoro correlati all’aumento del turnover pazienti, dovrebbe aumentare il numero degli infermieri per non scendere sotto il monte ore ottimale.

Lo studio ha dimostrato che il rischio di morte aumenta del 2% per ogni turno con presenze al di sotto del monte ore ottimale programmato e del 4% per ogni turno con elevato turnover. Aumenta anche l’esaurimento emotivo degli infermieri e la frustrazione, con il rischio che questa si traduca in un’immagine negativa del loro lavoro. La ricerca, datata nel tempo, prende come indicatori che spieghino il ruolo fondamentale degli infermieri, la loro presenza in turno in numero adeguato al turnover pazienti. La breve illustrazione dello studio americano, sul quale torneremo in seguito, serve a comprendere il recente RN4cast.

Il 26 febbraio 2014, sulla prestigiosa rivista The Lancet è stato pubblicato lo studio RN4cast, una ricerca che ha messo in correlazione la dotazione organica infermieristica, il livello di istruzione di questa e tasso di mortalità dei pazienti chirurgici a 30 giorni dalla dimissione.

Nurse staffing and education and hospital mortality in nine European countries: a retrospective observational study

Linda H Aiken, Douglas M Sloane, Luk Bruyneel, Koen Van den Heede, Peter Griffi ths, Reinhard Busse, Marianna Diomidous, Juha Kinnunen, Maria Kózka, Emmanuel Lesaff re, Matthew D McHugh, M T Moreno-Casbas, Anne Marie Raff erty, Rene Schwendimann, P Anne Scott, Carol Tishelman, Theo van Achterberg, Walter Sermeus, for the RN4CAST consortium*

Il Coordinatore della ricerca Rn4cast per l’Europa è Walter Sermeus dell’Università di Leuven, mentre a coordinare l’America e il resto dei Paesi, è Linda Aiken dell’Università della Pennsylvania.

Obiettivo dello studio è quello di identificare e verificare l’esistenza di interconnessioni dirette tra assistenza infermieristica e incidenza di complicazioni nei pazienti dimessi dalle strutture sanitarie e tra numero di pazienti per infermiere e qualità dell’ambiente di lavoro.

L’indagine che ha coinvolto 486 ospedali di 12 Paesi Europei, tra cui Belgio, Inghilterra, Finlandia, Irlanda, Paesi Bassi, Norvegia, Svizzera, Svezia, Spagna, è stata estesa agli ospedali italiani, grazie all’Università di Genovaed all’interessamento della Prof.ssa Loredana Sassoe del suo team ed al contributo fondamentale di NurSind quale partner finanziatore.

Si definiscono Nursing Outcomes o Nursing Sensitive Outcomes, i cambiamenti misurabili nella condizione del paziente, attribuiti alla cura infermieristica ricevuta.

Quando si parla di esiti infermieristici non ci si riferisce solo a quelli direttamente derivati dalla mera assistenza, ma anche e soprattutto agli effetti organizzativi prodotti dagli infermieri.

I nursing outcomes, sono gli esisti derivanti dalle cure infermieristiche, e dipendono dai comportamenti professionali degli infermieri, che si distinguono in :

  • azioni tecniche come la mobilizzazione del paziente;
  • comportamenti relazionali, come creare un ambiente confortevole;
  • azioni educative, come sulla autogestione della terapia.

Il RN4cast Europeo

RN4cast, è l’acronimo di Registred Nurse forecasting, dove forecasting vuol dire previsione, previsione del fabbisogno degli infermieri.

Il titolo quindi, dice già molto su quello che lo studio rappresenta: un metodo che definisca la previsione del fabbisogno di infermieri nel futuro. E’ stato il primo studio a documentare su larga scala la variabilità all’interno e tra Paesi rispetto al nurse-to-patient ratio (ovvero a quanti sono in media i pazienti gestiti da ciascun infermiere), raccogliendo dati reali e non da database amministrativi che hanno avuto sempre il problema di contare le risorse infermieristiche erogate includendo anche quelle “non a letto” del paziente. Le dotazioni organiche che sono state prese in esame tra il 2007 ed il 2010, subito prima che la crisi economica travolgesse l’Europa, descrivevano una situazione forse migliore di quella attuale. Di fronte ad una situazione tanto drammatica, acquista sempre più valore quanto emerso dallo studio europeo:

  • ad ogni paziente chirurgico in più gestito da un infermiere , aumenta il rischio di mortalità a 30 giorni dalla dimissione;
  • all’aumento del 10% di infermieri in possesso di una formazione accademica è associata una riduzione del rischio di mortalità del 7%.

Il tema dello studio è, dunque, come ottimizzare l’erogazione dell’assistenza sanitaria.

Nei 300 ospedali esaminati, la ricerca è stata condotta nei reparti di medicina e chirurgia e reparti assimilati quali, ortopedia, pneumologia, e cardiologia. Perchè condurre lo studio nei reparti di medicina e chirurgia e non nelle terapie intensive?

Perchè oggi quelle che erano unità operative a bassa complessità assistenziale, sono mutate in unità ad elevata complessità. Un paziente che afferisce a un reparto di medicina o chirurgia, non è solo portatore della patologia specifica, ma ha tutta un serie di comorbidità che ne fanno un paziente complesso.

Ad esempio un anziano che è ricoverato per frattura di femore, potrebbe essere portatore di patologie cardiache, di dismetabolismo glucidico o lipidico, essere affetto da demenza senile, che ne determinano l’elevata complessità assistenziale. Si ha a che fare spesso con pazienti altamente complessi che assorbono moltissime risorse infermieristiche, da ciò si evince il perché della scelta del Consorzio di condurre lo studio nelle suddette unità operative.

Cosa si prefigge di raggiungere lo studio:

– descrizione dell’ambiente di lavoro, inteso come Staffing, che non riguarda solo la dotazione numerica del personale infermieristico, ma la misura in cui il professionista si sente parte del sistema, perfettamente integrato nelle decisioni prese dall’Azienda, ascoltato dai propri dirigenti o coordinatori.

– L’impatto dello staffing su:

  1. Qualità dell’assistenza
  2. Sicurezza alle persone assistite
  3. Pianificazione del bisogno di risorse infermieristiche sulla base di dati certi e confrontabili con le altre realtà internazionali
  4. Promozione dei valori del nursing

Lo studio Italiano

Lo studio condotto in Italia ha visto la partecipazione di 13 regioni, 30 aziende sanitarie e 40 ospedali, per un totale di 292 unità operative e 3667 infermieri.

Il tasso di adesione medio tra gli infermieri è stato dell’81,17%, una percentuale significativa, che permette di cogliere l’importanza percepita dello studio.

Il tasso di adesione medio dei pazienti è stato del 78,34%, dovuto alla presenza di pazienti non in grado, a livello cognitivo, di compilare il questionario.

Partiamo dunque dall’analisi dello staffing: dallo studio coordinato da Linda Aiken, emerge come la presenza numerica degli infermieri e la formazione accademica influenzino il percorso clinico del paziente.

  • Nella dotazione organica – rapporto infermiere/pazienti – a ogni aumento di una unità paziente per infermiere, la probabilità di morte del paziente aumenta del 7%;
  • livello di istruzione degli infermieri (laureati e non), a ogni aumento del 10% di personale infermieristico laureato corrisponde una diminuzione del 7% di mortalità.

L’associazione dei due valori ha rivelato che, negli ospedali in cui il 60% degli infermieri è laureato ed il rapporto infermiere/paziente è di 1:6, la probabilità di decesso a trenta giorni dalla dimissione è del 30% inferiore rispetto a strutture in cui gli infermieri laureati sono del 30% ed il rapporto infermieri/pazienti è di 1:8

L’Italia si attesta intorno ad un dato medio di 9,54 pazienti assistiti per ogni infermiere, con un minimo di 7,1 che si riscontra nel turno mattutino, per arrivare a un rapporto di 13,7 nei turni pomeridiani e notturni.

Il 9,54 italiano ha una deviazione standard di 4,92 in relazione al valore raccomandato di 6 dalla letteratura.

I dati illustrati, prendono in considerazione anche la suddivisione dei turni di lavoro, questo perché quando si parla di staffing, non ci si riferisce solo all’organico infermieristico in termini numerici, ma al modello organizzativo che, in relazione a quanto emerso, ha sicuramente delle falle.

L’organizzazione del lavoro distribuito sui tre turni deve essere ripensato in rapporto ai bisogni assistenziali di pazienti ad elevata complessità assistenziale.

Proprio da questa errata distribuzione dei carichi lavorativi nasce il concetto di cure mancate.

Il concetto di cure mancate, è un concetto recente, menzionato per la prima volta da Beatrice J. Kalisch, che pensò di analizzare tutte le cure che venivano tralasciate dagli infermieri, accorgendosi di quanto il fenomeno fosse sottovalutato e di quanto fosse sommerso, benché di estrema importanza.

Dalle osservazioni della Kalisch, emerge che a essere sistematicamente omesse sono: deambulazione; cambiare posizione; nutrizione; educazione; pianificazione delle dimissioni; supporto emotivo; igiene del cavo orale; documentazione; sorveglianza.

Le ragioni di tali omissioni sono da ricercare nella carenza di personale; cattiva gestione delle risorse umane; carenza di tempo; mancanza di lavoro di squadra; delega inefficace; abitudine; rifiuto.

In particolare, abitudine e rifiuto sono due fenomeni che all’instaurarsi possono risultare molto pericolosi; la letteratura suggerisce che quando per molto tempo un’attività infermieristica non viene eseguita, questa finisce per non appartenere più al nursing.

Virginia Henderson disse: quando una funzione infermieristica non viene svolta da un infermiere, ma da qualcun altro, questo la svolgerà in maniera meno competente, mettendo a rischio la vita del paziente.

Molti studi successivi hanno dimostrato come il numero del personale infermieristico qualificato, sia determinante in termini di riduzione di tassi di mortalità, infezioni, ulcere da decubito e cadute.

Lo stesso studio condotto in Germania evidenzia lo stesso fenomeno delle cure tralasciate.

Gli infermieri tendono a svolgere quelle attività di ricaduta immediata sul paziente come, la terapia nei tempi, la gestione del dolore; mentre tralasciano le attività con effetti meno immediati quali, mobilizzazione, sorveglianza, gestione delle dimissioni, gestione dei piani infermieristici.

Di contro, tutta una serie di attività non vengono più svolte dagli infermieri:

  • igiene orale;
  • educazione sanitaria al paziente ed alla famiglia;
  • comfort/dialogo con il paziente;
  • cambio frequente della posizione;
  • sviluppo ed aggiornamento dei piani di assistenza;
  • sorveglianza adeguata dei pazienti;
  • pianificazione delle cure.

Correlato alle cure dimenticate, lo stesso studio condotto negli Stati Uniti a gennaio 2017, ha dato i medesimi risultati.

Needlman, collaboratore di Linda Aiken, parla delle Invisible Care, attività invisibili, che non sono più riconducibili alla professione infermieistica:

  • Valutazione e monitoraggio del paziente
  • Prevenzione del rischio di cadute, di ulcere da pressione, di complicanze
  • Pianificazione degli interventi
  • Educazione al paziente e alla famiglia
  • Preparazione alla gestione dopo la dimissione
  • Supporto psicologico al paziente e alla famiglia
  • Collaborazione e rinforzo del lavoro degli altri professionisti

Strettamente correlato al problema delle cure mancate è il demansionamento degli infermieri.

Un alto numero di infermieri esegue prestazioni sottodimensionate rispetto ai loro percorsi formativi ed alle loro competenze, impiegando molto tempo in attività a basso impatto.

Il demansionamento è spesso la causa scatenante della sindrome del burnout e del rischio stress lavoro correlato.

La letteratura ha più volte dimostrato che quando gli infermieri vengono demansionati, questi sviluppano la volontà di abbandonare la professione.

L’intention to leave non è tanto correlata al sovraccarico lavorativo, quanto al fatto che non si svolge la propria professione e si è sottoutilizzati rispetto alle proprie competenze.

Queste di seguito le attività improprie:

  • rispondere al telefono e svolgere attività burocratica;
  • richiesta di materiale o scorte;
  • compilare moduli non infermieristici;
  • pulizia di camere e materiale;
  • trasporto di pazienti all’interno dell’ospedale;
  • effettuare cure non infermieristiche;
  • consegnare e ritirare vassoi dei pasti.

Alla luce di quanto analizzato, si evince che quando si parla di staffing, non è possibile rapportare il tutto al solo dato numerico, alla sola componente numerica dell’organico infermieristico.

Sono diversi e altrettanto fondamentali gli aspetti fino a qui presi in esame: l’organizzazione del lavoro, la dimensione delle cure mancate, il demansionamento e la conseguente insoddisfazione lavorativa.

Un infermiere che non svolge al meglio e appieno la sua professione determina degli outcome pesantemente negativi sull’assistenza.

Risparmiare sugli infermieri è un risparmio illusorio, perché genera costi elevatissimi a carico del sistema sanitario: allungamento dei tempi di degenza, infezioni, cadute, lesioni e morte.

I dati raccolti attraverso RN4CAST devono essere promotori di una nuova rivoluzione culturale: investire sulla professione infermieristica è un investimento a medio termine che non può che portare miglioramenti all’economia dei sistemi sanitari.

Pubblicato da korraton

Laureato Magistrale in scienze infermieristiche e ostetriche presso l'università Cattolica del Sacro Cuore di Roma.

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