Intensità di Cure

La sanità` pubblica e` oggetto da anni di un processo di ‘‘aziendalizzazione’’, finalizzato al duplice scopo di contenere la spesa e migliorare il servizio erogato al paziente. Alle modifiche formali apportate dalla riforma (D. Lgs 502/92) e al tentativo di introdurre una ‘‘cultura’’ manageriale nella gestione ospedaliera, non sempre e` corrisposta la reale ‘‘centralita` del paziente’’ nell’implementazione dei modelli organizzativi di volta in volta proposti. 

Nell’attuale organizzazione delle aree di cura, basata sulla tradizionale suddivisione in Aree Mediche e Aree Chirurgiche e, nel loro ambito, in Unita` Operative, l’estrema variabilità` della gravita` clinica e del carico assistenziale rappresentano una situazione abituale. Uno standard assistenziale ‘‘medio’’ può` risultare superiore alle necessita` per alcuni pazienti, ma chiaramente insufficiente per altri.

Le conseguenze di tale ‘‘appiattimento alla media’’ sono note rispettivamente come effetto ‘‘tetto’’ ed effetto ‘‘pavimento’’. 

L’effetto ‘‘tetto’’ si verifica quando un utente con elevati bisogni e` inserito in un ‘‘sistema a bassa offerta’’ e tende a stressare il sistema ottenendo piu` assistenza rispetto agli altri utenti ricoverati, ma senza mai ricevere quella di cui necessita; ne deriva un’assistenza inadeguata. 

L’effetto ‘‘pavimento’’ si ha quando un utente con modesti bisogni e` inserito in un ‘‘sistema ad alta offerta’’, ricevendo così una quota di assistenza superiore a quella necessaria, da un punto di vista sia quantitativo (minuti aspecifici) sia qualitativo (minuti specifici): ne deriva uno spreco di risorse.

A tale rischio si associa la non più attuale modalità di management fondata sull’ ‘‘l’accentramento dell’intelligenza’’ e della gestione dei processi di innovazione ovvero quando il management si basa sulla divisione tra concezione dell’organizzazione (chi pensa) ed esecuzione (chi realizza).

Il modello, definito da S. Micelli nel 2000 a ‘‘intelligenza accentrata’’, aveva due validi fondamenti: la fiducia nella scienza come motore dell’innovazione (e cio` sta anche a dire l’assunzione della direzione top-down dello sviluppo della scienza); l’assenza di strumenti in grado di includere il contributo di più` figure nel processo di apprendimento. A tale modello si contrappone quello che presuppone una gestione diffusa della conoscenza e dell’innovazione ‘‘distribuita’’ (‘‘intelligenza distribuita’’), che coinvolge attivamente gli operatori sul campo in base alle diverse competenze disponibili. Si introduce il valore fondante — in un esplicito e trasparente lavoro di squadra, realmente incentrato sulle esigenze del paziente — dell’‘‘interdipendenza’’, contrapposto a quello — individualistico — di ‘‘indipendenza’’ dei rispettivi ruoli.

La differenziazione dell’intensità di cura presuppone un superamento del punto di vista dei ‘’ruoli’’.
L’organizzazione dell’ospedale dovrebbe essere incentrata sulle necessita` reali, in base ai problemi attuali del paziente. Questa concezione supera le tradizionali modalità di assistenza, in quanto basata su processi ad alta integrazione multidisciplinare, con riorganizzazione e differenziazione delle responsabilità cliniche, gestionali e assistenziali. La garanzia di prestazioni di alta qualità` si ottiene attraverso una stretta integrazione fra tutte le figure dell’equipe assistenziale multidisciplinare, nel rispetto delle singole e specifiche competenze. E` indispensabile formulare e utilizzare strumenti di integrazione (linee guida, procedure, protocolli, standard per la pianificazione dell’assistenza rispetto a obiettivi condivisi) allo scopo di omogeneizzare e presidiare le modalità` operative. Il livello di cura proposto consegue a una valutazione di instabilità` clinica / complessità` clinica e assistenziale, con risposte definite dalle tecnologie disponibili, dalle competenze presenti e dal tipo, dalla quantità` e dalla qualità` del personale assegnato. L’organizzazione per intensità di cure si basa sulla centralità del paziente.

L’organizzazione per intensità` di cure richiede una rivalutazione delle prassi consolidate e uno spostamento del baricentro assistenziale dalle esigenze dell’organizzazione (e degli operatori, ovvero di gruppi professionali) a quelle dei pazienti. La programmazione delle attivita` deve incentrarsi sulle necessita` e sulle aspettative dei pazienti, tenuto conto delle esigenze di sicurezza ed efficacia. La pianificazione dell’assistenza infermieristica si realizza attraverso il piano di lavoro orientato per obiettivi. Il percorso sanitario del paziente deve prevedere un’organizzazione in grado di coniugare eccellenza professionale, collegamento con gli altri livelli assistenziali a seconda dei bisogni della persona malata, attenzione all’accoglienza e alla dimensione umana dell’assistenza. La centralita` del paziente si traduce nella programmazione accurata dei tempi e delle attivita` e nella gestione efficace delle informazioni. L’attenzione verso i bisogni del paziente si attua mediante una precisa scansione delle attivita` assistenziali, per cui:

  1. L’infermiere assume maggiore responsabilità` sui risultati globali dell’assistenza; 
  2. L’infermiere ha una conoscenza più` profonda del singolo caso; 
  3. L’infermiere e` maggiormente responsabile dell’organizzazione delle proprie attività`; 
  4. L’infermiere collabora con altre figure professionali in modo più` attivo e consapevole nella equipe multiprofessionale integrata. 

Ulteriori opportunità` possono derivare da una rivalutazione dell’operato degli OSS (Operatori Socio Sanitari) che possono portare un contributo sostanziale all’assistenza complessiva nel reparto, sollevando le mansioni ‘‘improprie’’ dell’infermiere

Un’analisi comparativa delle diverse applicazioni del modello, mette in evidenza come, per la definizione dello stesso, sia di primaria importanza fare chiarezza intorno alla distinzione tra due concetti chiave: “complessità assistenziale” e “intensità di cura”, che rappresentano nozioni disgiunte, ma spesso sovrapponibili, due facce diverse e complementari di uno stesso modello organizzativo. 

In particolare il concetto di complessità assistenziale non ha ancora trovato una definizione univoca, nonostante quella attualmente più condivisa sia quella offerta da Moiset nel 2003, che indica la complessità assistenziale come “l’insieme degli interventi che si riferiscono alle diverse dimensioni dell’assistenza infermieristica espressi in termini di intensità di impegno e quantità-lavoro dell’infermiere”. 

Per intensità di cura si intende invece la determinazione dell’intensità clinicamente richiesta, in base alla patologia e a specifiche alterazioni dei parametri fisiologici. Generalmente vengono individuati tre livelli di intensità di cure, assegnati sulla base delle caratteristiche tecnologiche disponibili, delle competenze presenti e della tipologia, per quantità e qualità, di personale assegnato: alta intensità (letti intensivi e sub intensivi); media intensità (degenza ordinaria e ricovero a ciclo breve); bassa intensità (riabilitazione, cure post acuzie e low care) (Moroni, 2011). 

La determinazione del livello di intensità di cura più appropriato per ciascun paziente viene solitamente stabilito in funzione del livello di gravità o instabilità clinica, inteso come il grado e la numerosità dei parametri fisiologici alterati. Il livello di complessità assistenziale, invece, viene determinato attraverso la valutazione del livello di dipendenza, ovvero del grado e numero di problemi per i quali il paziente richiede un supporto assistenziale.
Nei diversi livelli di intensità di cura spesso corrispondono gradi di complessità assistenziale differenti: sono infatti due elementi distinti, anche se l’orientamento comune è quello di considerare delle soluzioni organizzative in grado di integrali, in quanto sempre co-presenti nel paziente. Il livello di complessità clinica e la complessità assistenziale infermieristica, quindi, non necessariamente coincido- no: si pensi ad esempio al caso di un bambino con laringite ipoglottica in fase acuta; esso presenterà una bassa complessità clinica, ma un’alta complessità assistenziale; mentre un paziente con fibrosi cistica riacutizzata è caratterizzato da un’alta complessità clinica e una bassa complessità assistenziale. 

A indicare la configurazione dell’organizzazione ospedaliera, così come l’iter di presa in carico e gestione del paziente, è innanzitutto la complessità clinica, che una volta stabilita attraverso scale visionate, orienterà il paziente a un preciso livello nel quale esso riceverà le cure prescritte, secondo uno specifico grado di intensità. Tuttavia, dato il grado richiesto, a costituirsi come variabile del processo è la parte assistenziale, la quale deve essere intesa come entità flessibile, in grado di adattarsi alle specificità delle istanze (Pignatto, 2010). 

BIBLIOGRAFIA

Micelli S. Imprese, reti e comunit`a virtuali. Milano: Etas; 2000.

Moiset C., Migliorare la qualità dell’assistenza infermieri- stica: un investimento sicuro per la sanità, in “Area Qualità News”, ottobre 1999.

MoiSet C., Vanzetta M., Vallicella F., Misurare l’assistenza un modello di sistema informativo della performance infermieristica, Mc Graw-Hill, Milano, 2003.

Moroni p., Colnaghi e., bonFanti m., Casartelli L., Croce D., FoGLia e. e Porazzi e., Nuovi “modelli modulari di cura”: l’intensità di cura a dimensione variabile. Il caso dell’Azienda Ospedaliera di Desio e Vimercate, in “Sanità Pubblica e Privata”, 2011, 3, pp. 46-57

Pignatto a., Regazzo C., Tiberi P., Intensità di cura e complessità dell’assistenza: i due nuovi paradigmi dell’organizzazione ospedaliera, in “Agorà”, 44, gen-mar 2010.

Pubblicato da korraton

Laureato Magistrale in scienze infermieristiche e ostetriche presso l'università Cattolica del Sacro Cuore di Roma.

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